Attenzione: La storia che stai per leggere è assolutamente ordinaria, non vi saranno colpi di scena, né finali strappalacrime.
Sono entrato in Croce Rossa che avevo quattordici anni. A quattordici anni uno è nel bel mezzo di una tempesta di cambiamenti, in uno stato dismorfico ricoperto di sudore e incertezze. Almeno, questa è la mia esperienza.
La cinematografia insegna che, per sopravvivere in questo medioevo psicofisico, un ragazzo può attuare due strategie: impegnarsi nello sport e diventare una stella del football; oppure chiudersi in camera e dedicarsi ai videogiochi, tagliando ogni contatto con la realtà fisica esterna.
Io, invece, i primi anni del liceo ero pervaso da una sensazione di noia generalizzata: non mi andava proprio di far nulla. Non fraintendete, avevo chiari i miei obiettivi, le mie aspirazioni, che perseguo tutt’ora; semplicemente, ero annoiato da ciò che la società propone di default alla mia età.
Tra le varie attività che il web mi aveva proposto, una in particolare catturò la mia attenzione: “volontariato”. Si trattava di qualcosa di non convenzionale, che, alle mie orecchie, non aveva ancora subito il meccanismo d’inflazione come invece aveva fatto il calcio (per il quale tra l’altro sono completamente negato, in quanto la coordinazione motoria non è mai stata il mio forte).
Dunque, per farla breve, alla fine decisi di dare una possibilità al volontariato e mi misi alla ricerca di associazioni papabili. Ne provai molteplici prima di approdare davanti – quasi per caso in realtà – al cancello di Lungarno Soderini 11. “Croce Rossa Italiana” uguale “ambulanza”; io voglio fare il medico, quale miglior luogo in cui impratichirmi? Nella mia testa suonava più che logico provare questo ambiente. Tre settimane dopo avevo fatto il corso e superato l’esame d’ingresso.
Purtroppo – chi l’avrebbe mai detto? – i minorenni non possono svolgere servizio sulle ambulanze e, di conseguenza, mi sono ritrovato bloccato in un ambiente che non conoscevo, in mezzo a persone ancora ignote, sudato, incerto e con una spiccata introversione. Non il migliore degli scenari per un ragazzino quattordicenne.
Fortunatamente, una settimana dopo l’ingresso in Associazione ho partecipato ad un Percorso Gioventù, corso che permette ai nuovi Volontari di conoscere l’ambiente associazionistico. Quel giorno mi si è aperto un mondo: io ho dovuto attendere quattro anni per poter salire per la prima volta su un’ambulanza e, nel frattempo, ho scoperto un universo di attività e progetti in cui potermi cimentare.
Ho portato beni di prima necessità alle persone senza fissa dimora, ho svolto attività con la protezione civile, alle manifestazioni sportive, ai concerti. Ho scoperto la bellezza della formazione, ambito di cui mi sono innamorato e che tutt’oggi coltivo. Soprattutto, ho riscoperto me stesso, attraverso gli altri.
Croce Rossa Italiana per me è stata una madre, a volte dolce, a volte autoritaria. Madre consigliera, in certi momenti assente, in altri fin troppo presente. Le esperienze che ho vissuto sono state sia positive che negative, ma, sicuramente, mi hanno permesso di crescere. Le persone che ho conosciuto al suo interno mi hanno aiutato, pezzo dopo pezzo, a costruire la mia identità. I principi che governano il Movimento, sette parole ricche di storia, rappresentano coesione e senso di appartenenza.
A distanza di anni riconosco che molte cose sono cambiate: amicizie, valori, bisogni. Nonostante ciò, non si è fermata la passione che contraddistingue il mio vivere l’Associazione. In Croce Rossa ho trovato amici, fratelli e compagni di avventure, con i quali svolgo regolarmente servizio (anche in ambulanza!). Soprattutto, ho trovato me stesso.
Croce Rossa Italiana, per me, è identità.
Riccardo Sutera, volontario del Comitato di Firenze di Croce Rossa
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